23 maggio 2025

Amministratori confronto tra compenso periodico e pagamento tramite utili

L’attività svolta dagli amministratori nell’azienda è ordinariamente collegata ad un compenso. L’articolo 2389 del codice civile prescrive che I compensi spettanti ai membri del Consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea.

I compensi possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.

La remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal Consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.

Qualora il compenso non sia stabilito nell'atto costitutivo, è necessaria una esplicita delibera assembleare per determinarne la misura.

Lo statuto può prevedere la possibilità che l'assemblea determini un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori.

Non è necessario che il compenso sia stabilito anteriormente alla nomina o contestualmente ad essa. È consentito che il compenso sia stabilito anche dopo il termine dell’esercizio a cui il compenso si riferisce, purché esso sia determinato nell’ambito dell’assemblea dell’approvazione di bilancio in una specifica delibera. La Corte di Cassazione, infatti, nella sentenza 24652/2022 ha infatti stabilito che “il difetto di specifica delibera dell’assemblea in ordine alla determinazione del compenso degli amministratori può essere effettivamente sanato in sede di delibera di approvazione del bilancio, ma solo se detta delibera abbia espressamente approvato la relativa voce, non essendo sufficiente la semplice approvazione del bilancio contenente detta voce".

Il compenso stabilito in tal modo può essere considerato deducibile; in assenza di una delibera specifica il compenso rimane chiaramente indeducibile.

Una specifica disciplina del compenso è la deducibilità per cassa: è deducibile il compenso in relazione all’esercizio 2025 solo se pagato nell’anno 2025 o al più tardi entro il 12/1/2026. Un compenso erogato dopo il 12/1/2026 sarà deducibile nell’esercizio in cui viene pagato.

Tale principio deriva dall’assimilazione del compenso ai compensi come collaboratore coordinato e continuativo.

Interessante è l’alternativa di eseguire i pagamenti dei compensi non mediante erogazioni periodiche mensili, ma mediante il pagamento di dividendi.

È evidente che tale modalità di pagamento incide sia sul reddito della società erogante che su quella del percipiente.

I dividendi, come noto, sono soggetti alla ritenuta a titolo di imposta del 26% e non si cumulano quindi con gli altri redditi del percipiente.

La situazione è quindi la seguente. Il compenso è un costo per la società, deducibile per la cassa, mentre l’utile non è un costo per la società.

Per l’amministratore il compenso cumula con gli altri redditi e quindi va in aliquota marginale, mentre l’utile è assoggettato a tassazione definitiva a titolo d’imposta mediante ritenuta.

Ovviamente il compenso come collaboratore è un introito ordinariamente mensile, mentre l’utile è un incasso una tantum. Inoltre, ai fini previdenziali il compenso è utile, mentre l’utile non lo è.

La giurisprudenza della Cassazione consente in fondo di poter operare la scelta anche ex post, al termine dell’esercizio, pur con effetti sulla deducibilità.

In definitiva la scelta tra un compenso tramite un elemento simile allo stipendio e il pagamento tramite dividendo incide sia sulla società che sull’amministratore, ed è quindi da vagliare caso per caso in ragione della situazione specifica, sotto il profilo della minimizzazione del carico fiscale e della deducibilità per l’azienda, oltre ovviamente alle scelte di remunerazione (periodica o una tantum) dell’amministratore.

Stefano Pizzutelli - Fiscalfocus