Un caso frequente che si incontra nella pratica professionale attiene al passaggio generazionale di aziende di dimensione relativamente contenute.
La situazione, che generalmente si incontra, è quella di un’azienda il cui valore ipotizziamo sia pari a 100 mila euro che deve essere trasferita al figlio che intende proseguire l’attività del padre.
Supponiamo che questo erede designato abbia anche due fratelli, e che il padre non disponga dei beni sufficienti per non discriminare i tre figli.
Ad esempio, partendo dal presupposto che tutti i figli debbano essere trattati allo stesso modo, il padre dovrebbe donare ai due figli estranei all’attività, liquidità o beni per un valore di euro 100.000 ciascuno. Questi beni, invero, potrebbero essere assenti, oppure, ove presenti, il padre potrebbe avere piacere di conservarli in vista della sua vecchiaia.
Una casistica di questo tipo, potrebbe essere quindi gestita attraverso la vendita dell’azienda o delle quote societarie al figlio; in questo modo il padre incasserebbe il corrispettivo di euro 100.000 che potrebbe ripartire tra i tre figli.
Questa soluzione, tuttavia, presenta diversi profili di criticità.
Innanzitutto non è sempre facile tutelarsi di fronte ad un inadempimento del figlio che, soprattutto se l’attività non prosegue in modo redditizio, potrebbe incontrare difficolta ad accumulare la liquidità per pagare il padre. Inoltre, sul presupposto che le cessioni non possono avvenire al nominale, in quanto non accettate dall’Agenzia (Risposta interpello n. 111/2018), e comunque potenzialmente lesive della legittima, si pone anche il problema dell’emersione di una plusvalenza tassabile in capo al genitore. Alla fine dei conti, il padre si troverebbe a dover pagare l’imposta sulla plusvalenza quando in realtà il suo intendimento era la donazione.
Una valida ed efficace alternativa in queste circostanze è rappresentata dal patto di famiglia.
Poiché, nel caso proposto, il genitore non è interessato a vendere, bensì a donare, la vendita ipotizzata rappresenta solamente la soluzione per evitare disparità di trattamento tra i tre figli.
Gestendo il passaggio con un patto di famiglia che coinvolge tutti i legittimari, il padre dona al figlio l’azienda o le quote e questi si impegna a liquidare i due fratelli con denaro o beni equivalenti per complessivi euro 66.000 (33.000 ciascuno).
La soluzione appare sicuramente più efficiente della precedente sotto tutti i punti di vista.
Sotto il profilo fiscale, si evita l’imposta sostitutiva sulla plusvalenza e la donazione dell’azienda sarà assoggettata al regime di esenzione di cui all’art. 3, comma 4 ter del D. Lgs. n. 346/90.
La liquidazione dei fratelli, quand’anche seguissimo le tesi più restrittive che le assoggettano ad imposta di donazione del 6%, non comporterebbero comunque alcun prelievo fiscale, stante la presenza della franchigia di euro 100.000.
La soluzione appare efficiente anche di fronte al problema di un’eventuale insolvenza del figlio assegnatario delle quote o dell’azienda.
Innanzitutto, perché questi non deve pagare euro 100.000 ma solo euro 66.000.
In secondo luogo, il patto di famiglia può prevedere delle clausole di recesso, sicuramente in capo al genitore e forse, ma la cosa va approfondita, anche in capo agli altri fratelli non assegnatari che operano in caso di mancata liquidazione dei fratelli. Pertanto, se l’assegnatario non è in grado di pagare, tutto potrebbe tornare come prima.