19 gennaio 2024

Immobile da demolire. Vendita non tassabile come cessione di terreno edificabile

La compravendita di un fabbricato da demolire non può considerarsi quale vendita di terreno edificabile ai fini della plusvalenza imputabile al contribuente. È quanto emerge dall’ordinanza n. 929/2024 della Corte di cassazione (Sez. V civ.), depositata il 10 gennaio.

La compravendita di un fabbricato da demolire non può considerarsi quale vendita di terreno edificabile ai fini della plusvalenza imputabile al contribuente. È quanto emerge dall’ordinanza n. 929/2024 della Corte di cassazione (Sez. V civ.), depositata il 10 gennaio.

Il caso - Il contribuente ha ceduto a una società la proprietà di un casolare e successivamente ha ricevuto dall’Agenzia delle Entrate la richiesta di pagamento di una somma a titolo di IRPEF, interessi e sanzioni sull'imponibile accertato, relativo all'anno 2007, derivante dal realizzo della plusvalenza non dichiarata, riveniente dalla vendita “de qua”.

Difatti, secondo l'Agenzia, il contratto di vendita in questione doveva in realtà qualificarsi come vendita della proprietà dell'area edificabile sulla quale era situato il fabbricato, indicato quale oggetto della cessione della proprietà, sia in quanto, prima della stipula del rogito, l'acquirente aveva già domandato al Comune il rilascio del permesso di costruire per la demolizione del fabbricato oggetto del contratto, sia perché il corrispettivo di compravendita, sostenuto per un fabbricato destinato alla pressoché immediata demolizione, non potrebbe che derivare dal valore dell'area fabbricabile. Secondo l'Amministrazione, quindi, la vendita aveva a oggetto non la cessione della proprietà del fabbricato, bensì l'alienazione della proprietà dell'area edificabile, che costituisce realizzo di una plusvalenza, che il contribuente avrebbe dovuto sottoporre a tassazione separata.

Ebbene, l'atto impositivo è stato annullato dalla C.T.P. di Reggio Emilia, la cui decisione è stata, però, riformata dalla C.T.R. dell'Emilia-Romagna, mentre la Corte di legittimità ha dato ragione al contribuente.

Gli Ermellini hanno ribadito il loro indirizzo interpretativo secondo cui, «In tema di IRPEF, ai fini della tassazione separata, quali redditi diversi, delle plusvalenze realizzate a seguito di cessioni, a titolo oneroso, di terreni dichiarati edificabili in sede di pianificazione urbanistica, l'alternativa fra "edificato" e "non edificato" non ammette un "tertium genus", con la conseguenza che la cessione di un edificio, anche ove le parti abbiano pattuito la demolizione e ricostruzione con aumento di volumetria, non può essere riqualificata dall'Amministrazione finanziaria come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l'edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria residua del lotto su cui insiste, essendo inibito all'Ufficio, in sede di riqualificazione, superare il diverso regime fiscale previsto tassativamente dal legislatore per la cessione di edifici e per quella dei terreni.» (Cass. n. 5088/2019).

Come ulteriormente rilevato da Cass. n. 39133/2021, con riguardo alle imposte dirette, la disposizione dell'art. 67, comma 1, lett. b), e 68 del D.P.R. n. 917 del 1986, che assoggetta a tassazione, quali «redditi diversi», le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, non è applicabile alle cessioni aventi a oggetto, non un terreno «suscettibile di utilizzazione edificatoria», ma un terreno sul quale insorge un fabbricato e che, quindi, è da ritenersi già edificato; l'entità sostanziale del fabbricato non può essere mutata in terreno suscettibile di potenzialità edificatoria, sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera dei contraenti, e, soprattutto, la cui realizzazione (nel caso di specie, attraverso la demolizione del fabbricato) è futura (rispetto all'atto oggetto di tassazione), eventuale e rimessa alla potestà di soggetto diverso (l'acquirente) da quello interessato dall'imposizione fiscale.

Il superiore principio vale anche qualora l'alienante abbia presentato domanda di concessione edilizia per la demolizione e la ricostruzione dell'immobile e, successivamente alla compravendita, l'acquirente abbia richiesto la voltura nominativa dell'istanza, in quanto la “ratio” ispiratrice della disposizione citata tende ad assoggettare a imposizione la plusvalenza che trovi origine non da un'attività produttiva del proprietario o possessore, ma dall'avvenuta destinazione edificatoria del terreno in sede di pianificazione urbanistica (Cass. n. 15629/2014; Cass. n. 1674/2018; Cass. n. 10393/2019).

Non è, quindi, possibile – per i Massimi giudici - «porre a carico del venditore dell'edificio sorto su terreno (già) edificabile una (affermata) plusvalenza anche solo commisurata all'ulteriore capacità edificatoria non (ancora) sviluppata, perché si tratterebbe di porre su un soggetto diverso (il venditore) una tassazione che il legislatore ha fissato già in capo al compratore. Né si deve pensare che in tal modo il venditore si sottragga ai propri obblighi fiscali: infatti, nel prezzo di cessione dell'edificio, come nella rendita catastale, è computata anche la capacità edificatoria inespressa. Detta in altri termini, la norma in oggetto non intende colpire la capacità edificatoria residua (c.d. volumetria, cubatura o superficie coperta rimanente), bensì solo la plusvalenza nella cessione di un terreno a seguito della primigenia edificabilità prevista in sede di pianificazione urbanistica. Diversamente opinando sarebbero da considerare soggette a plusvalenza da cessioni di terreno edificabile tutte le alienazioni a titolo oneroso di edifici che non abbiano sviluppato integralmente la potenzialità edificatoria del lotto su cui insistono, poiché potrebbero sempre essere abbattuti e ricostruiti o semplicemente ampliati, a prescindere dall'intenzione delle parti» (tra le tante: Cass. n. 5088/2019; Cass. n. 3006/2001).

In conclusione – si legge in Cass. n. 929/2024 – «in considerazione dell'indirizzo assunto dalla giurisprudenza di legittimità, da ritenersi consolidato, e tenuto conto dei pareri con cui l'Avvocatura generale dello Stato ha ritenuto non opportuna la prosecuzione in cassazione dei giudizi in materia, devono considerarsi superate le indicazioni contenute nella risoluzione n. 395/E del 2008 e, più in generale, non ulteriormente sostenibili le pretese dell'Amministrazione in contrasto con i principi espressi dalla giurisprudenza richiamata (circolare n. 23/E del 29 luglio 2020)».

Ne è conseguita la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, gli Ermellini hanno accolto il ricorso introduttivo del contribuente con compensazione delle spese.

Paola Mauro - Fiscalfocus