Il gioco a incastri che porta alla scrittura della manovra aspetta ancora l’esito del muro contro muro fra banche e governo, cruciale per fissare l’impianto delle coperture. Ma nell’attesa, destinata a finire a ore per portare la legge di bilancio in consiglio dei ministri venerdì (a meno di slittamenti), si precisano le forme di molte misure discusse in questi giorni, a partire dalla rottamazione delle cartelle.
Nelle bozze limate fino all’ultimo minuto dai tecnici, la nuova sanatoria prevede una rata minima per i pagamenti, fissata a 100 euro. Questo consentirà, di fatto, piani flessibili, che per i debiti più ridotti non arriveranno a coprire il calendario delle 54 rate bimestrali (9 anni), ipotizzato come orizzonte temporale massimo della rottamazione numero cinque.
L’effetto è quello di evitare i micropagamenti, evidentemente svantaggiosi nel rapporto fra i costi amministrativi di gestione delle pratiche e i benefici prodotti dall’incasso. In pratica, per i debiti fino a 5mila euro il calendario sarà scandito da un’agenda più ridotta, pari al multiplo della soglia. Nel gioco entra però un’altra variabile. Perché nonostante le obiezioni politiche, fitte in casa Lega, i tecnici spingono ancora sull’idea di una pagamento iniziale minimo pari almeno al 5% del debito complessivo. Sul punto si confrontano due esigenze opposte. A favore di questa soluzione gioca l’obiettivo pratico di evitare l’ennesima replica della fuga dalle rate, determinata dai contribuenti che aderiscono alla sanatoria, spesso per fermare il rischio di fermi amministrativi e pignoramenti, e poi non si presentano alla cassa. La frequenza di queste adesioni strumentali è dimostrata dall’esperienza delle prime quattro rottamazioni, che hanno accolto in cassa solo il 41% dei versamenti attesi con 48 miliardi mai arrivati all’Erario. In senso opposto spingono invece le esigenze della politica, che non vorrebbe alzare ostacoli alle possibili adesioni, soprattutto per una sanatoria che essendo limitata agli avvisi bonari si rivolge espressamente solo a chi ha dichiarato ma non ha poi pagato per difficoltà economiche.
Con la rata minima e il ticket d’ingresso, per esempio, un debito da 3mila euro potrebbe essere onorato in 30 rate (cinque anni con appuntamento ogni due mesi) dopo un primo versamento da 150 euro.
Tutta la rottamazione del resto viaggia su un equilibrio delicato fra le richieste dei partiti e quelle dei conti pubblici. Sull’altare di questi ultimi sono stati ridotti i confini della platea, che esclude dalla possibilità di sanare le cartelle (con carichi affidati alla riscossione entro il 31 dicembre 2023) chi non ha pagato tasse o contributi per cause dolose, oltre a multe, Imu e altre entrate locali. La pressione della politica sembra invece essere ormai riuscita ad allargare un po’ il margine di tolleranza rispetto alle tornate precedenti, perché la decadenza arriverebbe solo dopo due rate saltate, anche non consecutive. Anche qui, però, pesa l’esperienza: perché la tagliola che nelle precedenti edizioni imponeva l’uscita dopo un solo mancato pagamento saltato ha spinto maggioranze e Governi di diverso colore a procedere sistematicamente con norme di ripescaggio o riapertura.
Sempre in fatto di fisco, le incognite continuano a circondare l’ipotesi di revisione del «quoziente famigliare» per allargare i plafond delle spese detraibili dai contribuenti con redditi sopra i 75mila euro e figli a carico. Una misura parallela, ma rivolta alle famiglie in condizioni economiche meno fortunate, è in cantiere per l’Isee, anche se ancora ieri le ipotesi in campo erano più d’una. Il balletto è proseguito anche intorno alla nuova soglia di esclusione della prima casa dall’indicatore: il compromesso è stato trovato a quota 92mila euro, cioè 39.500 euro sopra l’attuale soglia di abbattimento.
Giovanni Parente e Gianni Trovati - Il Sole 24Ore